Ripartire da Amleto ''che mette al centro il teatro e la rappresentazione come enigma, pulsione, luogo che ci porta fuori i nostri segreti mettendoli in luce''.
Ma anche un testo in cui ''il protagonista parla continuamente in modo diretto con lo spettatore'', che finalmente, dopo una lunga assenza dovuta alla pandemia è lì, in sala, fisicamente davanti a lui. Giorgio Barberio Corsetti racconta in un'intervista all'ANSA il suo Amleto (suoi l'adattamento e la regia dell'opera di William Shakespeare nella traduzione di Cesare Garboli) che apre la stagione del Teatro Argentina di Roma e sarà in scena dal 17 novembre al 9 dicembre.
''Il mio è stato un lungo viaggio verso Amleto - racconta - perché lo volevo fare due anni fa, prima della pandemia. Ma non si può fare senza contatti fisici, allora ho fatto le Metamorfosi dove l'assenza di contatto è basilare''. Perché Amleto? perché ''è un testo che mette al centro il teatro, ancora più centrale quindi dopo questa lunga stagione di teatri chiusi'', spiega il regista. Il suo di Amleto poi ''parte dall'essere e non essere, un punto da cui è ripartito ognuno di noi in questo momento, vivere o non vivere''. E' insomma ''un ritorno al teatro come luogo in cui succedono, si vedono cose invisibili, si ascoltano parole indicibili. Come in Amleto appunto il fantasma del padre, si vede il fantasma che appare anche nel nostro lavoro, ed è un fantasma straziato, tirato con la forza dal mondo dei morti''.
Per Barberio Corsetti ''è la scena più forte quella di Amleto con la madre, quando la accusa di tutto, e appare il fantasma del padre e si ricostruisce così per un attimo la famiglia. E' lì la forza del teatro, nel colpirci in luoghi e pensieri che non sapevamo di avere, nei nostri segreti. Ciò che può fare è questo: una sorta di agopuntura dell'anima. Soprattutto in una stagione che forse sarà l'unica che riusciremo a fare completa''.
Ma il ritorno in sala per Barberio Corsetti, dopo la pandemia, ''è l'antidoto, perché il teatro è il luogo dove si può contrastare la pandemia. La solitudine - spiega - trasforma il silenzio in ascolto profondo. Bisogna solo rimboccarsi le maniche e lavorare, per il teatro, per la città''. In questo periodo del resto il suo lavoro per Roma non si è mai interrotto, con il Cantiere Amleto, laboratorio portato nelle periferie. ''Siamo partiti da Tor Tre Teste e poi Tor Bella Monaca con i due teatri, insieme al centro di assistenza dell'Ex Fienile, con ogni volta almeno 40 cittadini coinvolti, a fasi alterne per le interruzioni obbligate dai tempi. Ora vorrei proseguire ad Ostia Lido con un altro laboratorio, che sarà il capitolo finale del nostro Cantiere Amleto. Ora con Amleto all'Argentina, che anche fisicamente è al centro della città, ci siamo concentrati sul fatto che il teatro è il cuore della città dove in maniera simbolica, partono i pensieri dei vari laboratori''. Qui arriva però ''l'Amleto a modo mio che è anche Elsinore, una struttura, una macchina di ferro che si muove e si trasforma, è possibile città molto stilizzata, architettura con i piano inclinati, luoghi fisici simbolici in un'idea di architettura industriale''.
Ma poi su tutto gli attori: ''in scena un gruppo di attori straordinario guidati da Fausto Cabra, che sta creando un Amleto unico, perché ha una capacità straordinaria di rivolgersi direttamente al pubblico in un luogo come il teatro che riesce a portare alla luce le sottigliezze, le variazioni. E' potente e comico insieme, riesce ad esprimere quella singolarità shakespeariana che è nella capacità di far sorridere nelle situazioni più terribili''. Perché sì, a dire la verità, ''il teatro non è l'arte del grosso, ma è tutto nelle ombre, nelle pieghe dove lo spettatore riesce a entrare senza nemmeno accorgersene''.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA