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(di Laura Valentini)
JAVIER CERCAS, 'IL FOLLE DI DIO ALLA
FINE DEL MONDO' (GUANDA, PP 464, 20 EURO) - "Sono ateo. Sono
anticlericale. Sono un laicista militante". Javier Cercas lo
mette nero su bianco nel prologo del suo nuovo libro 'Il folle
di Dio alla fine del mondo' in cui racconta, in un mix di
reportage, dialogo filosofico, inchiesta, saggio, il viaggio
compiuto con papa Francesco fino in Mongolia dove il pontefice
si reco' nel 2023. E a cui il Vaticano invita l'autore spagnolo
di 'Soldati di Salamina' suscitando il suo stupore. "Ecco un
folle senza Dio che insegue il folle di Dio fino alla fine del
mondo" è l'incipit del 'romanzo senza finzione' in cui Cercas
chiarisce fin dalle prime battute che quel che lo spinge ad
assecondare la proposta che gli viene avanzata al Salone del
Libro di Torino da Lorenzo Fazzini, responsabile della Libreria
Editrice Vaticana, è il desiderio di porre a Francesco la
domanda che muove da sua madre, oggi novantaduenne, da quando è
morto suo padre a cui era legatissima: lo rivedrà dopo la morte?
Cercas trasforma la narrazione quasi in un thriller in cui
l'enigma che deve essere svelato è quello che rappresenta il più
antico mistero della storia dell'umanità. È vero che esiste una
vita oltre quella terrena? Nella forma narrativa che lo ha reso
celebre, l'autore cerca una risposta alla domanda che nessuno
può fare a meno di porsi, e che lui vuole rivolgere al Papa, 'il
folle di Dio' come amava definirsi San Francesco di cui
Bergoglio ha scelto il nome. Già durante il volo il Papa lo
ascolta brevemente e lo fa accomodare per un dialogo più
ravvicinato vicino a lui: cosa si dicono lo scrittore non lo
racconta a chi glielo chiede. Perché nel frattempo il libro
ospita una galleria di personaggi vicini al pontefice o per
lavoro (i giornalisti 'vaticanisti', il direttore editoriale dei
mezzi di comunicazione del Vaticano Andrea Tornielli, l'allora
direttore de 'la Civiltà Cattolica' padre Spadaro) o per
appartenenza alla Chiesa, come il missionario Ernesto Viscardi o
il sacerdote mongolo Peter Sanjajav. In Mongolia il
cattolicesimo incontra il buddismo come nella visita al
monastero e il colloquio che Cercas ha con l'abate Dambajav, che
spiega come la confessione che rappresenta cerca la pace
interiore del credente, o la catechista convertita che racconta
perché il viaggio del papa è utile ai mongoli e apre uno
spaccato di cronaca su cosa significa evangelizzare: in una
realtà come la Mongolia il Vangelo più che annunciato va
'sussurrato', spiega Cercas dopo avere incontrato il cardinal
Marengo, magari usando "l'arma segreta" che è "l'amore di Dio".
Missionari e missionarie sono i personaggi che più colpiscono
lo scrittore che, come ha detto presentando il libro in
occasione della sua uscita in contemporanea in Spagna, Italia e
America latina, dopo il viaggio se pure non si è convertito ha
cambiato la propria visione del cattolicesimo. "Ho trovato cose
sorprendenti, straordinarie, come le opere dei missionari, che
lasciano tutto solo per aiutare gli altri, in Mongolia come in
Africa o in India e senza fare proselitismo perché Papa
Francesco l'ha vietato". Nel finale del libro c'è un altro
incontro di Cercas ai più alti livelli della gerarchia vaticana,
quello con il 'Grande Inquisitore', come lo chiama citando il
personaggio dei fratelli Karamazov solo per osservare che la
persona reale non potrebbe essere più diverso dal novantenne
cupo e minaccioso rappresentato da Dostoevskij. Il prefetto del
dicastero per la dottrina della fede (ex Sant'Uffizio) è alto,
calvo, longilineo e indossa il clergyman. In passato lui stesso
è stato 'sotto esame' del dicastero. Dopo averlo nominato al
vertice, Papa Francesco gli ha chiesto di operare dei
cambiamenti. "Vede sempre più avanti" spiega allo scrittore che
chiude la sua 'inchiesta' sul ruolo della trascendenza nella
vita umana annunciando di aver svelato il 'segreto di
Bergoglio': quello di essere un uomo 'comune'. O forse un uomo
che alle domande centrali della fede dà risposte senza
chiaroscuri.
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