La Cina gela Donald Trump: nessun contatto in corso, trattative solo se gli Usa rimuoveranno i dazi unilaterali. Intanto una dozzina di stati Usa, seguendo l'esempio della California, fa causa al presidente americano, sostenendo che non ha il potere di imporre tariffe e rivendicando la competenza del Congresso in materia.
Il tycoon per ora non arretra, ma ammorbidisce i toni per evitare un crollo di Wall Street e prova a placare l'industria automobilistica, valutando esenzioni su acciaio, alluminio e componenti cinesi legati al fentanyl. Nel frattempo The Donald sembra tenere più di Pechino a un rapido accordo commerciale, prevedendo una "sostanziale" riduzione dei dazi "ora molto alti", profetizzando "un accordo equo", vantando colloqui in corso "positivi" e un "contatto diretto" con la Cina. Ma il Dragone lo ha smentito su tutto il fronte. "Per quanto ne so, Cina e Stati Uniti non stanno conducendo alcuna consultazione o negoziazione sui dazi, e tanto meno stanno raggiungendo un accordo", ha precisato Guo Jiakun, portavoce del ministero degli Esteri cinese. "La posizione della Cina è coerente e siamo aperti a consultazioni e dialoghi, ma qualsiasi forma di consultazione e negoziazione deve essere condotta sulla base del rispetto reciproco e in modo paritario", gli ha fatto eco il portavoce del ministero del Commercio, He Yadong. "Qualsiasi affermazione sui progressi dei negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti - ha aggiunto - è infondata".
Lo stesso segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, aveva ammesso che non sono ancora stati avviati negoziati formali, anche se il presidente ha rivelato che proprio oggi ci sarebbe stato un primo incontro, senza fornire altri dettagli. La Cina ha inoltre chiarito che i colloqui dovrebbero prevedere la cancellazione di tutte le tariffe attualmente applicate. "Le misure unilaterali di aumento dei dazi - ha spiegato il portavoce del ministero del Commercio - sono state avviate dagli Stati Uniti. Se gli Usa vogliono davvero risolvere il problema, dovrebbero ascoltare le voci razionali della comunità internazionale e di tutte le parti in causa, annullare completamente tutte le misure tariffarie unilaterali contro la Cina e trovare il modo di risolvere le divergenze attraverso un dialogo paritario".
Nel gioco del bastone e della carota, Trump ha attaccato Pechino per aver bloccato il ritiro dei Boeing già commissionati: "Boeing dovrebbe dichiarare inadempiente la Cina per non aver preso gli aerei splendidamente rifiniti che si era impegnata ad acquistare. Questo è solo un piccolo esempio di ciò che Pechino ha fatto agli Stati Uniti per anni...", ha scritto su Truth, ammonendo inoltre che "il fentanyl continua a riversarsi nel nostro Paese dalla Cina, attraverso Messico e Canada, uccidendo centinaia di migliaia di persone, ed è meglio che smetta, ora!".
The Donald dovrà difendere la sua guerra commerciale in tribunale, come ormai quasi tutte le sue mosse più controverse.
A guidare l'azione legale, intentata da una dozzina di stati Usa presso la Corte per il commercio internazionale degli Stati Uniti, sono la governatrice e la procuratrice generale di New York. La causa sostiene che i dazi devono essere approvati dal Congresso e mette in discussione il ricorso da parte di Trump a una legge degli anni '70 chiamata International Emergency Economic Powers Act per emanare tali imposte. "Rivendicando l'autorità di imporre dazi immensi e in continua evoluzione su qualsiasi merce che entri negli Stati Uniti a sua scelta, per qualsiasi motivo ritenga opportuno dichiarare lo stato di emergenza, il presidente ha sovvertito l'ordine costituzionale e portato il caos nell'economia americana", accusano i ricorrenti.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA