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Balassone: "La narrazione della destra non è comunitaria, il pubblico Rai potrebbe respingerla"

Balassone: "La narrazione della destra non è comunitaria, il pubblico Rai potrebbe respingerla"

"Dai politici un gioco a perdere, senza riforma non c'è futuro"

ROMA, 16 maggio 2023, 21:02

di Michele Cassano

ANSACheck

Ingresso della sede Rai di viale Mazzini - RIPRODUZIONE RISERVATA

Ingresso della sede Rai di viale Mazzini - RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingresso della sede Rai di viale Mazzini - RIPRODUZIONE RISERVATA

"Sono curioso di vedere come farà la destra a costruire una sua narrazione in Rai, che trovi anche un suo pubblico". Stefano Balassone, consigliere Rai dal 1998 al 2002 e vicedirettore di Rai3 al fianco di Angelo Guglielmi, parla in un'intervista all'ANSA delle prospettive della Rai, guidata da ieri dall'Ad Roberto Sergio, indicato dal governo Meloni.

Quali differenze vede nell'attuale gestione della Rai rispetto al passato?

"In linea di metodo è quello che c'è sempre stato. In linea di merito la differenza può essere che la lottizzazione fatta dal classico partito della Rai, un po' figlio della cultura cattolica e un po' dell'organicismo comunista, aveva dei contenuti da portare all'interno e poteva contare su un pubblico fortemente orientato ai valori comunitari. È da vedere se la destra, ora che si trova esposta in prima persona a declinare in programmi una visione, riuscirà ad attirare un pubblico. La base elettorale della destra è caratterizzata da un maggiore individualismo, le relazioni corte della famiglia pesano più della proiezione degli interessi nella dimensione politica. La base è quindi poco adatta a recepire un disegno di comunicazione, è tarata piuttosto a respingerlo con una qualche insofferenza e questo potrebbe scattare anche nei confronti della comunicazione della Rai meloniana".

I risultati dipenderanno anche da quali saranno gli interpreti di questa nuova narrazione...

"Ho qualche difficoltà a immaginare chi saranno i cavalieri che scenderanno in campo. Si vedono solo intellettuali meditabondi, ma un po' tristi. Mi chiedo quale sarà la chiave epica, che è comunitaria o non è, per fare questo insediamento narrativo e culturale".

Come giudica l'uscita di Fabio Fazio dalla Rai?

"Fazio era il punto di congiunzione dei vari ruscelli di progressismo che ci sono in Rai. Un'azienda è fatta di insediamenti: c'è quello ultrarenziano di Rai1, l'agitazione giovane di Rai2 e il perbenismo strutturato di Rai3. Fazio rappresentava il perno di questo perbenismo. Salvini aveva bisogno di questo scalpo, ma la Rai ci rimette: è difficile sostituirlo e Fazio potrà fare moltissimo se a Discovery gli affideranno una striscia tardo serale, da lunedì a venerdì, che porterebbe il Letterman Show in Italia e sarebbe un concorrente vero per Bruno Vespa. La metà del suo pubblico potrebbe spostarsi su Discovery, soprattutto se farà questa striscia serale che sarebbe una valida alternativa per chi a quell'ora si sposta sulle piattaforme".

L'opposizione invoca una riforma della Rai, si farà?

"La politica è chiusa dentro un gioco a perdere che non ha vie di uscita. Non riesce a concepire nulla di diverso, è prigioniera di un pressapochismo di breve termine che le impedisce di essere elemento di rinnovazione strutturale. Chi la fa la riforma? Sarebbe un trionfo se riuscisse a farla Meloni, ma non succederà. Poi dipende da quale riforma. Anche Renzi l'ha fatta ed era sbagliata: ha risistemato le sedie e scippato un po' di soldi alla tv pubblica. Serve una riforma che trasformi la Rai in Bbc, tutto il resto sono baggianate".

Come giudica l'operato dell'ex Ad Carlo Fuortes?

"Ha cercato di fare il possibile, agendo sulla macchina Rai con la già annunciata riforma dei generi, ma non era in grado di mettere le mani sul vero problema Rai, cioè la ridicola situazione dell'apparato delle testate, che è sovradimensionato e inflazionato di sigle ed edizioni che si mangiano metà delle risorse dell'azienda".

La Rai è ancora così importante nella formazione dell'opinione pubblica o lo pensano solo i politici?

"È molto meno importante rispetto al passato. I politici scambiano il rapporto abitudinario con l'opinione pubblica con il processo pedagogico. Sono due cose diverse. Chi ha goduto di lunghe fasi di controllo della Rai ha regolarmente perso le elezioni. C'è un accecamento reciproco tra giornalisti e politici: la realtà si svolge fuori dal circuito domande-risposte del povero giornalista e del politico che cerca la solita visibilità giornaliera. È un gioco di specchi deformante che lascia fuori la percezione della realtà, al massimo ne raccoglie qualche strillo".

Con il boom delle grandi piattaforme internazionali, la Rai avrà un futuro dal punto di vista industriale?

"Avrà un futuro se la riformano, altrimenti sarà come un ghiacciaio che si scioglie. Il cambiamento mette in crisi quel disegno pensato per durare il più lungo possibile tale e quale".

   

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