Nel parlare dell'Orfeo, l'opera di
Claudio Monteverdi presentata il 6 novembre dal Teatro Alighieri
di Ravenna, non si può non partire dall'ammirazione nei
confronti di Pier Luigi Pizzi, il decano dei costumisti,
scenografi e registi teatrali italiani, e non solo, che a 91
anni (è nato a Milano il 15 giugno del 1930) si è presentato
alla ribalta per i saluti finali con l'entusiasmo e la
freschezza di un ventenne. Dimostrando che la polvere dei
palcoscenici che ha respirato per una vita intera nei teatri di
mezzo mondo, non solo non lo ha logorato, ma è stata per lui
quell'elisir d'amore e di giovinezza di donizettiana memoria.
Il maestro è stato accolto da una lunga ovazione assieme al
resto del cast, a partire dall'artefice musicale, Ottavio
Dantone che dal clavicembalo ha diretto l'Accademia Bizantina,
il complesso barocco nato proprio a Ravenna quasi quarant'anni
fa. Uno spettacolo dalla genesi travagliata pensato per gli
spazi all'aperto del Festival dei Due Mondi di Spoleto e che
l'emergenza sanitaria dovuta al Covid ha portato a Ravenna,
costituendo una sorta di coda alle celebrazioni dantesche,
poiché il libretto di Alessandro Striggio ha chiari riferimenti
al Sommo Poeta.
Nel traslocare, l'allestimento si è trasformato in una sorta
di rappresentazione in forma semiscenica dove orchestra e Coro
sono sistemati in palcoscenico e con gli interpreti che cantano
davanti e su una sorta di quadrilatero che delimita gli inferi
dove Orfeo va in cerca dell'amata Euridice. Attenzione
concentrata quindi quasi esclusivamente sulle voci, spesso
vicinissime agli spettatori, e sulla musica senza gli ormai
tanto abusati video.
La novità di questa nuova proposta di Orfeo è stata l'aver
scelto un finale aperto in cui il protagonista esce di scena
senza né essere sbranato dalle Baccanti, né salvato da Apollo:
"È più giusto, attuale e comprensibile - ha spiegato Pizzi -
vedere il cantore degli dei chiuso nella propria solitudine, nei
propri dubbi e tormenti. È una soluzione che il pubblico di oggi
può condividere".
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