GILLES PERRAULT, ''IL RAGAZZO CON GLI OCCHI GRIGI'' (FANDANGO, pp. 90 - 10,00 euro - Traduzione di Maruzza Loria).
La guerra sconvolge il mondo, la vita quotidiana di un paese, di una società, e tutto questo ha riflessi anche nel privato con un possibile cambio di ottica, col modificarsi di giudizi, impressioni e valori e questa confusione, questo ribaltamento è come una zona grigia, fredda, sospesa eppure piena di senso, come l'impenetrabile sguardo dei bellissimi occhi grigi di Jean, il misterioso, impavido, razionale ragazzo più adulto dei suoi sedici anni, capace di muoversi istintivamente nelle situazioni difficili e di pericolo, che salva una bella signora parigina in fuga verso il sud della Francia nel 1940, davanti all'avanzata nazista, con i due piccoli figli Sylvie di sei anni e Philippe di dieci.
E' il mondo borghese che crolla, perde i propri punti di riferimento, il proprio orgoglio, diventa colonna infinta di profughi che hanno perso contatti con amici e parenti. E' quello raccontato con successo da Irene Nemirovsky nel suo piccolo capolavoro ''Suite francese''. Ma Perrault, giornalista impegnato, uomo di sinistra pronto a fidare la società che contesta, è più leggero e metaforico, così che il suo breve racconto alla fine va più a fondo nel raccontarci i sovvertimenti di quei giorni che segnarono la Francia prima dell'armistizio con i nazisti e la nascita del governo collaborazionista del maresciallo Pétain.
La donna scappa da Parigi -senza avere più notizie del marito Robert laureato al Politecnico e tenente di artiglieria al fronte- con una bella macchina, i suoi vestiti, le scarpe decolté rosse ai piedi, i due bambini, quando, incolonnata per strada in mezzo alle migliaia di persone in fuga, ecco arrivare uno Stuka che passa e ripassa sulla strada mitragliando tutto e tutti, lasciando madri e figli feriti, animali sventrati, auto che bruciano. Lei è nel fosso con i bambini, ma questi sfuggono al suo controllo, scappano impauriti anche loro, se non ci fosse questo ragazzo che riacciuffa Philippe e si butta in un campo di grano seguito dalla bambina e la signora, cui dopo pochi minuti vengono le vesciche ai piedi. Si scappa, ci si mette in salvo lontano dalla strada e la folla, senza avere più nulla di nulla, non un bagaglio, non un soldo, tranne la roba che si indossa, finendo vicino a una villa chiusa, di cui Jean riesce a forzare una finestra per trovarvi rifugio. Tra quelle mura ci sono cibi, vestiti, si ricostruisce subito una parvenza di vita normale, e il giovane gioca con i bambini e va in giro a cercare, a rubare in negozi e case abbandonate quel che manca e portare notizie dell'avanzata dei tedeschi, silenzioso e proteggendo i tre anche dalla visita pericolosa di due soldati sbandati e ubriachi. E' un'oasi in cui tutto è cambiato profondamente, non ci sono più ruoli e classi, la vita è sospesa e tutto diventa possibile, anche l'improvvisa passione della signora per il bel giovanotto, impensabile atto naturale di ribellione, di libertà e sensualità femminile, sino al finale, duro ritorno alla normalità, nello scontro col mondo che sta cercando di ridarsi un ordine. Ma prima di rientrare nei ranghi, la donna avrà un ultimo gesto d'amore rivoluzionario nei confronti di Jean arrestato dai gendarmi. Un racconto delicato e misurato nei toni e nella lingua, naturalmente insinuante nel costruire un'atmosfera tra angoscia e abbandono, in cui anche gli estremi finiscono per attrarsi e assomigliarsi, in cui le barriere sociali non esistono più.
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